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IL VINCOLO ALLO STUDIO DELL'ARTISTA: IL CASO LUCIO DALLA

La giurisprudenza amministrativa torna nuovamente sul tema del vincolo al c.d. Studio dell'artista, inteso come quel luogo fisico, composto di arredi e suppellettili, significativa espressione della personalità artistica di chi vi ha lavorato.

Questa volta è il TAR Emilia Romagna, sede di Bologna, ad occuparsi del tema con la sentenza n. 153 del 2017, che ha respinto il ricorso introdotto dagli eredi del noto cantautore Lucio Dalla avverso il provvedimento della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia Romagna che ha dichiarato di interesse culturale l'immobile e gli annessi arredi della casa – studio dell'artista recentemente scomparso.

La sentenza richiama all'attenzione del lettore la connessione esistente tra la personalità del cantautore e gli oggetti ed i compendi di arredo, giungendo a ritenere che perfino la loro collocazione all'interno della casa ed il modo con cui questa è stata organizzata al suo interno siano manifestazione dello sviluppo della creatività artistica del loro passato proprietario.

In conclusione, scrive il collegio bolognese, ciò che si intende tutelare nello studio dell'artista è la suggestione che esso opera nella sua interezza e che rimanda direttamente allo spirito di chi vi ha lavorato, composto, studiato, sofferto e, più in generale, vissuto, ingenerando una sorta di “connessione funzionale fra l'immobile ed i beni mobili” che “costituiscono un insieme certamente eterogeneo, ma rappresentativo della personalità di Lucio Dalla e contribuiscono in modo decisivo a connotare il grande appartamento come “casa museo” dell'artista bolognese”.

Ne deriva l'irrilevanza del fatto che taluni o anche tutti i beni mobili assoggettati a vincolo possano apparire privi di uno specifico ed individuale interesse sul piano culturale: ciò che si vuole tutelare, infatti, non è il rilievo culturale del singolo compendio di arredo, ma l'insieme di essi: “il vincolo” scrivono ancora i giudici “non è diretto sull'opera e/o per il pregio artistico del bene in sé, ma l'importanza culturale dell'immobile e dei beni mobili come sistemati da Lucio Dalla e come costituenti espressione anche di architettura di arredo, ovvero quale testimonianze dell'identità e della storia dell'artista e di un'altissima espressione della musica italiana dagli anno 60 del XX secolo in poi”.

Fin qui la sentenza appare assolutamente in linea con la interpretazione comune data da giurisprudenza e dottrina alla tutela dello studio di artista; tuttavia, il collegio bolognese pare spingersi oltre, giungendo a ritenere che il vincolo imposto dall'articolo 10, comma 3 lett. d) del Codice dei Beni culturali (che, come noto, tutela la connessione con la storia politica, militare, scientifica, tecnica e culturale) possa condurre fino alla tutela della storia e della cultura del singolo artista.

Tale assunto a mio avviso appare poco condivisibile, dal momento che il dettato normativo ricollega inequivocabilmente il vincolo alla correlazione con la storia culturale e non del singolo personaggio; il salto logico sarà dunque ammissibile solo laddove si dimostri che il personaggio a cui l'oggetto è appartenuto sia stato di importanza epocale, tale da segnare una svolta irreversibile nel suo settore di attività: così può considerarsi il cannocchiale di Galileo o il vestito con cui Napoleone venne incoronato re d'Italia, conservato a Firenze presso la collezione Stibbert.

Non così potrà essere per lo studio del cantautore bolognese, non solo perché il Tribunale e l'amministrazione non si sono avventurati in tali argomenti, ma anche e soprattutto in quanto simili considerazioni dovranno necessariamente attendere il giudizio dei posteri.

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