Il primo giorno lavorativo dell'anno il Ministero della Cultura ha emesso la circolare n. 1/2023; qualcuno potrebbe ironizzare, modificando a bella posta il noto adagio: "anno nuovo, circolare nuova".
Non è questo il caso: con il nuovo anno (o, forse, auspicabilmente, con il nuovo corso) il Ministero della Cultura ha voluto correggere una evidente forzatura che la circolare n. 13/2019 (la c.d. circolare Famiglietti, dal nome dell'allora Direttore Generale per le Belle Arti, Archeologia e Paesaggio) aveva introdotto nella procedura di acquisto coattivo di un'opera d'arte, prevista dall'articolo 70 del Codice dei Beni Culturali.
Di cosa si tratta? In poche parole, quando si richiede il rilascio di un permesso per esportare un'opera d'arte il Ministero ha la possibilità di acquistarla ad un prezzo pari al valore venale dichiarato dal proprietario al momento della richiesta; quest'ultimo, tuttavia, vedendosi recapitare l'avvio del procedimento di acquisto coattivo, ha la possibilità di evitare la cessione forzata allo Stato rinunciando alla richiesta di esportazione.
Il codice si limita a dire questo, ma cosa succede nel caso in cui il proprietario si avvalga di tale facoltà, rinunciando alla domanda di autorizzazione all'esportazione?
Fino alla circolare del 2019, l'unico che si era occupato di esaminare la questione era stato il TAR Lazio che aveva ritenuto (a mio avviso correttamente) che il procedimento amministrativo per il rilascio dell'attestato di libera circolazione dovesse ritenersi definito, essendo venuto meno l'interesse del richiedente.
Conseguentemente, laddove l'amministrazione avesse ritenuto esistente un interesse culturale particolarmente importante, avrebbe potuto vincolare l'opera solo avviando d'ufficio un procedimento di verifica per, poi, giungere alla notifica.
In caso contrario, nulla avrebbe vietato al proprietario di ripresentare nuovamente l'opera per l'esportazione.
Al contrario, la circolare MIBAC n. 13/2019 aveva stravolto integralmente questa prospettiva, con un intento a mio avviso punitivo nei confronti del proprietario che avesse osato rinunciare all'esportazione, impedendo in tal modo che lo Stato ne perfezionasse l'acquisto.
Infatti, con una interpretazione estremamente estensiva (per non dire assolutamente creativa) del contenuto dell'articolo 70 del codice, la circolare del 2019 sosteneva che, in questo caso, il bene andasse necessariamente vincolato, privando gli uffici esportazione di qualsiasi discrezionalità valutativa.
In poche parole: se non mi vendi l'opera d'arte, allora te la vincolo!
Ciò sul presupposto che l'importanza dell'opera fosse ipso facto dimostrata, dal momento che qualcuno si era preso la briga di ipotizzarne l'acquisto alle collezioni pubbliche.
Mi era subito balzato agli occhi come tale impostazione fosse niente più che una mera petizione di principio, dal momento che gli acquisti pubblici di opere d'arte non sempre sono legati al valore culturale dell'opera, ma talvolta seguono logiche, anche locali, che non hanno un effettivo risvolto sul piano del valore culturale del bene.
Il Ministero, in quella occasione, mi è apparso come un bambino bizzoso che batte i piedi di fronte alla vetrina del negozio dei giocattoli in cui i genitori non intendono portarlo, oppure come quello che, sentendosi escluso dai compagni, usa la forza per rompere i loro giochi.
Quale che fosse l'immagine più adatta, quella disposizione mi appariva come l'esempio lampante di una concezione coercizzante dell'esercizio dell'azione pubblica: quanto di più lontano da una amministrazione al servizio del cittadino.
Peraltro, questa "interpretazione creativa" introduceva tutta una serie di ulteriori problematiche: ad esempio, si costringeva gli uffici a introdurre un procedimento e a fare una istruttoria (addirittura stimolando la partecipazione del proprietario al procedimento amministrativo, perchè così vuole la legge) sapendo fin da subito quale sarebbe dovuto essere l'esito di tutto quel lavoro.
Chiarisco con un esempio quanto assurda fosse questa disposizione: mi è capitato un caso di un cliente che chiese il rilascio di un attestato di libera circolazione per un'opera attribuita ad un importante maestro manierista; immediatamente, il Ministero avviò la procedura di acquisto coattivo, a fronte della quale il mio cliente rinunciò all'esportazione.
Peraltro, nelle more, a seguito di alcune verifiche radiografiche, emersero alcune circostanze che portarono perfino a dubitare dell'autenticità dell'opera.
Queste circostanze furono prontamente comunicate al Ministero; ciò nonostante, l'opera venne notificata! (fulgido e, forse, primo esempio di notifica di falso acclarato).
Forse per i numerosi cahiers de doleance giunti da più parti al Ministero, forse per un riesame della questione giuridicamente (e, permettetemi di aggiungere, logicamente) orientato o, forse, per impulso dei nuovi vertici; fatto sta che con il nuovo anno ci è stata regalata la correzione di questa distonica chiave interpretativa.
La nuova circolare MIC n. 1/2023, infatti, dichiara esplicitamente come la previgente circolare non risulti conforme alle vigenti disposizioni di legge (in particolare, all'art. 68 del codice dei beni culturali ed al DM 537/2017) e, pertanto, vada da oggi disattesa a favore del ripristino della libertà degli uffici periferici di poter valutare se procedere, alla luce dell'istruttoria, al diniego ed all'avvio del procedimento di verifica dell'interesse culturale.
Si tratta di un apprezzabile segnale di quello che auspico possa dimostrarsi un vero e proprio cambio di rotta nelle politiche di tutela del patrimonio culturale.
Tuttavia, leggendo la nuova circolare, sembrerebbe permanere nell'amministrazione l'idea che il procedimento amministrativo non si concluda con la rinuncia all'esportazione del proprietario; ciò a mio avviso ingenera alcune dissonanze.
Ad esempio: se l'ufficio esportazione ritiene l'opera non rilevante dal punto di vista culturale, cosa dovrà fare? Rilascerà comunque l'attestato di libera circolazione nonostante la rinuncia del proprietario?
E se non lo farà, limitandosi a chiudere il procedimento prendendo atto della rinuncia all'esportazione, come si giustificherà l'emissione di un diniego nel caso contrario, in cui ravvisi un interesse culturale? Non mi pare si possa prevedere che in un caso il procedimento vada avanti ed in un'altro no.
Ma, in fondo, oggi sono lieto così; queste domande riceveranno risposta domani.
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