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Immagine del redattoreAvv. Emanuele Spina

L’ACQUISTO DI UN’OPERA DI PROVENIENZA FURTIVA

Mi è capitato recentemente di dover consigliare un cliente in ordine all’acquisto di un’opera d’arte di lontana provenienza furtiva: si trattava di un dipinto rubato presso una residenza patrizia e poi rivenduto dall’autore del furto ad un antiquario.

Il cliente mi chiedeva se vi potesse essere il rischio di dover restituire l’opera a colui al quale a suo tempo era stata rubata; è evidente anche ad un profano, infatti, come la provenienza furtiva possa esporre l’incauto acquirente a perdere il bene comperato (magari anche a caro prezzo) e, perfino, a doversi poi difendere da eventuali accuse di ricettazione.

L’analisi del caso, che ovviamente presenta una serie di problematiche concrete che non riporto, anche a tutela della riservatezza della questione, mi ha dato, quindi, lo spunto per ripercorrere con questo breve articolo le tematiche legate alla circolazione interna ed internazionale di opere d’arte rubate.

Ovviamente, il tema è molto complesso e merita di essere approfondito per ciascun singolo caso; tuttavia mi ripropongo di fornire brevi spunti di riflessione e di due diligence per affrontare casi similari, escludendo dall’analisi eventuali profili di rilevanza penale.


LA CIRCOLAZIONE INTERNA

Occorre in primo luogo affrontare il caso in cui il bene oggetto di furto abbia una provenienza italiana e venga poi commercializzato in ambito nazionale.

In questo caso, infatti, la normativa applicabile è quella stabilita dal codice civile italiano che, come noto, all’articolo 1153 cc tutela l’acquisto in buona fede da chi non sia l’effettivo proprietario (al contrario di altri ordinamenti, ad esempio quello inglese, che non consentono il trasferimento di proprietà, indipendentemente dalla buona fede dell’acquirente).

In realtà, la questione non è del tutto semplice neppure alla luce del nostro ordinamento (contrariamente a quanto talvolta si sente dire), dal momento che la nostra giurisprudenza appare piuttosto restrittiva nel riconoscere la buona fede dell’acquirente.

Infatti, nel noto caso della “natura morta con pesci” di De Chirico la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che la buona fede non equivale alla mera ignoranza della lesione dell’altrui diritto, ma occorre che tale ignoranza non sia dipesa da colpa grave, data dall’omissione, da parte dell’acquirente, di quel minimo di diligenza che gli avrebbe permesso di percepire l’esistenza di una problematica (Cass. Civ., sez. II, 14 settembre 1999, n. 9782).

Resta, pertanto, importante anche nell’ambito della circolazione nazionale il rispetto della due diligence con riferimento all’accertamento della liceità della provenienza dell’opera.

Per questo motivo, ritengo importante consigliare la consultazione delle banche dati dei Carabinieri, di INTERPOL, ARTLOSS o altre opportunamente scelte.

Parimenti, riterrei opportuno sconsigliare l’acquisto da parte di chi non sia in grado di documentare la provenienza dell’opera o il proprio titolo di possesso, specie se si tratti di soggetto non operate nel settore (non sia, cioè, un collezionista noto all’acquirente o un mercante d’arte).

Si tenga, comunque, presente che il requisito della buona fede viene sovente calibrato sulla figura dell’acquirente e, pertanto, è ancor più importante rivolgersi al proprio consulente per sottoporgli l’esame della specifica circostanza (nel caso del De Chirico, infatti, la qualifica di gallerista esperto ha reso più stringenti le maglie giurisprudenziali, finendo per non riconoscere la buona fede perfino in caso di acquisto in asta pubblica).

Ovviamente, tale problematica decade nel momento in cui si siano maturati i presupposti per l’usucapione; in questo caso, infatti, il venditore è divenuto proprietario dell’opera a titolo originario, anche in caso di precedente provenienza furtiva. Devo, però, mettere in guardia in ordine agli oneri probatori che graveranno su chi invocherà l’acquisto del diritto di proprietà per usucapione.

Da ultimo, segnalo che una recentissima sentenza che ha chiarito che la restituzione di un’opera rubata da parte del legittimo proprietario non investe la tutela del possesso, bensì il diritto di proprietà, che, quindi, dovrà essere dimostrato da chi lo rivendica.


LA CIRCOLAZIONE INTERNAZIONALE

Nel caso di opera d’arte rubata ed esportata all’estero (anche in modo lecito, come a breve si vedrà) trovano applicazione talune norme di diritto internazionale molto note agli operatori del settore.

Prima fra tutte, anche in senso cronologico, è la convenzione UNESCO del 1970, a cui è seguita la convenzione UNIDROIT del 1995, mentre per il territorio dell’Unione Europea è in vigore la Direttiva 2014/60 (che ha sostituito la previgente Direttiva 93/7).

Le norme contenute in tali accordi consentono di derogare alla disciplina della tutela dell’acquirente in buona fede (che, come ho detto, non è unanimemente applicata in tutti gli stati).

Si vuole, infatti, evitare che una provenienza furtiva di un’opera venga in qualche modo regolarizzata attraverso una o più vendite effettuate nel territorio di uno stato che tutela l’acquisto effettuato in buona fede.

Per questa ragione, le norme internazionali, derogando alla regola che vuole l’applicazione al contratto della legge del luogo ove avviene la vendita, ritengono applicabile la legge del luogo di provenienza dell’opera; ciò vuol dire che un dipinto rubato in un castello inglese non potrà legittimamente passare nella proprietà dell’acquirente anche in caso di vendita intervenuta in Italia, dal momento che l’originario proprietario britannico potrà fare valere anche in Italia la disciplina del proprio paese che nega tutela all’acquirente in buona fede.

Al contrario, un’opera rubata in Italia e rivenduta ad un acquirente in buona fede non potrà essere successivamente rivendicata, qualora sia stata successivamente lecitamente esportata; tuttavia, si richiama all’attenzione del lettore quanto sopra detto in ordine ai presupposti del riconoscimento della buona fede dell’acquirente.

Nel caso in cui l’opera possa essere rivendicata, tutte le norme internazionali citate prevedono, seppure con alcune differenze l’una dall’altra, la previsione di un equo indennizzo a favore del possessore; tuttavia, tale indennizzo è sottoposto alla verifica di una due diligence nell’acquisto che va dalla semplice buona fede della convenzione UNESCO alla ben più impegnativa dimostrazione (prevista dalla convenzione UNIDROIT e dalle direttive UE) di avere tenuto conto di tutte le caratteristiche del rapporto contrattuale che ha condotto all’acquisto, quali, a titolo esemplificativo, le circostanze di tempo e luogo, le persone coinvolte, il prezzo corrisposto, l’accesso ai registri e ai database delle opere d’arte rubate e qualsiasi altra informazione opportuna.

Come accennato, la disciplina sancita da ciascuna convenzione si presenta differenziata sotto numerosi punti di vista, ma non è compito di questo mio contributo affrontare nello specifico le singole specificità.

Ad ogni modo, è bene sapere che l’applicazione a ciascuna casistica di una norma piuttosto che un’altra è dettata da una pluralità di fattori e circostanze legate al tempo, ai luoghi interessati dai fatti ed alle nazioni e giurisdizioni coinvolte; per questo motivo, è importante sottoporre tempestivamente la questione ad un consulente giuridico che potrà essere utile per dirimere ogni dubbio in merito.


In conclusione, l’opera di provenienza non chiara deve essere sottoposto ad un approfondimento molto permeante perché laddove risultasse di provenienza furtiva le conseguenze sulla sua commercializzazione e circolazione internazionali potrebbero risultare di non scarso rilievo (a tacere, poi, di quelle di natura penale, che potrebbero rendere ancor più spiacevole l’incauto acquisto).

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