con la recente sentenza del 7 aprile 2017 il TAR Lazio torna sulla nozione di patrimonio culturale nazionale per ribadire l'interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui, ai fini della tutela del patrimonio culturale, deve intendersi soggetto alle disposizioni di tutela e, conseguentemente, anche alle limitazioni all'esportazione non solo qualsiasi bene culturale o artistico che abbia attinenza diretta o indiretta con la storia e la cultura del nostro Paese, ma anche beni o manufatti che, pur non avendo alcuna correlazione con la cultura italiana (ad esempio, in quanto riferibili ad un diverso contesto geografico o realizzati da un artista straniero), purtuttavia palesino la propria importanza al fine di implementare le collezioni italiane o, più in generale, siano testimonianza sul territorio nazionale del proprio contesto di riferimento.
Sulla scorta di tale principio, pertanto, un vaso di ceramica Ming, evidente frutto dell'ingegno e della cultura di un popolo che non aveva contatti, se non assolutamente episodici, con la nostra cultura occidentale, può essere considerato parte del patrimonio nazionale.
Siffatta interpretazione, comporta la possibile applicazione delle disposizioni di tutela e, conseguentemente, del divieto di esportazione anche per manufatti che, in sé considerati, non presentino connotati di particolare rilievo culturale, solo per il fatto che in Italia risulti scarsamente rappresentato il loro contesto di riferimento; è il caso preso in esame dalla sentenza in commento, che conferma il diniego dell'attestato di libera circolazione per un'opera minore e giovanile di Salvador Dalì non solo per l'indiscussa importanza dell'autore, ma, in particolare, per l'unicità del dipinto quale testimonianza del suo periodo formativo.
Tuttavia, in applicazione del medesimo principio, non è escluso che possa essere dichiarato l'interesse culturale anche di manufatti che, nella realtà ed in sé considerati, si manifestano niente più che di mediocre rilievo, solo perchè nel territorio nazionale non è dato riscontrarne di simili e più pregiati; è il caso occorso, anni or sono, ad una statuetta polinesiana che, con molta probabilità, non avrebbe suscitato alcun interesse in ambito internazionale, ma che ha destato l'attenzione del Ministero in quanto rara nel panorama museale italiano (con giudizio, peraltro, assiomaticamente assunto, dal momento che, rispetto ad altre tipologie di opere d'arte, l'esame in questione avrebbe necessitato uno scrupoloso e difficilissimo esame dei cataloghi dei musei e collezioni di antropologia disseminati per tutta Italia).
Peraltro, l'interpretazione propugnata dal Tribunale consente anche l'apposizione di vincoli sulla scorta di motivazioni per lo più legate ad un senso nazionalistico, sovente incapace di perseguire gli obiettivi di effettiva tutela del patrimonio nazionale e che potrebbe apparire perfino anacronistico, specie se raffrontato con il contesto europeo di cui il nostro paese si onora di far parte.
È il caso, molto recente, occorso in relazione ad un globo terrestre fiammingo, la cui sottoposizione al regime di tutela da parte dello stato italiano (sulla scorta di ragioni storico scientifiche a cui, tuttavia, non ha fatto seguito l’interessamento da parte di alcuna istituzione culturale nazionale) ha impedito la collocazione del manufatto nelle collezioni di un importante museo dei Paesi Bassi.
È lecito chiedersi, quindi, se simili situazioni possano ancora trovare una adeguata risposta nell’ambito del solo diritto nazionale o se non necessitino di un esame orientato verso una visione maggiormente comunitaria del concetto di patrimonio culturale.
Analizzando il diritto dell’Unione, i giudici amministrativi sono giunti alla conclusione che anche alla luce del diritto europeo il concetto di patrimonio culturale nazionale non possa che essere definito autonomamente da ciascuno stato membro, con la conseguenza che, per quanto riguarda il nostro paese, le interpretazioni sopra evidenziate debbono considerarsi in linea con le disposizioni europee purché rispettino i principi di tipicità, proporzionalità ed esistenza di un effettivo interesse culturale.
Tale rispetto, tuttavia, dovrà essere oggetto di rigoroso esame in sede di proposizione del ricorso, dal momento che le deroghe alla libera circolazione delle merci nel territorio dell’Unione per esigenze di conservazione del patrimonio culturale (art. 36 TFUE) devono trovare una interpretazione restrittiva e, specie in ordine al criterio di proporzionalità, la giurisprudenza europea ha avuto modo di esprimersi in passato, ritenendo non conforme a proporzione l’applicazione al caso concreto della disciplina nazionale.
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