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LE INGIUNZIONI DI RIENTRO IN ITALIA DI OPERE D’ARTE

Updated: Feb 8, 2023

Recentemente mi è capitato di visionare taluni provvedimenti con i quali il MIBACT ingiunge al proprietario l’immediato rientro in Italia di opere d’arte esportate a seguito del rilascio di attestati di libera circolazione, successivamente annullati e mi è sembrato opportuno evidenziare taluni aspetti di criticità che mi paiono emergere, in primo luogo per l’esercizio di un potere amministrativo la cui esistenza non si rivela del tutto pacifica ed, in secondo luogo, per le modalità con cui tali ingiunzioni sono state emesse.

Infatti, mentre il codice dei beni culturali prevede espressamente, in altre circostanze, il potere dell’amministrazione di emanare provvedimenti che ingiungano un obbligo di fare al privato proprietario di un bene culturalmente rilevante (si vedano i provvedimenti di tutela indiretta di cui agli articoli 45 e ss. o gli ordini di reintegrazione a seguito della violazione degli obblighi di protezione e conservazione di cui all’art. 160) non mi pare che l’ordinamento preveda un potere di ordinare al privato di disporre il rientro in Italia di un’opera illegittimamente esportata o comunque illegittimamente presente all’estero.

Al contrario, proprio per questi casi, l’ordinamento comunitario e le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia (in primis la ben nota convenzione UNIDROIT del 1995 nonché la convenzione UNESCO del 1970) prevedono che l’amministrazione italiana possa richiedere la restituzione del bene allo Stato estero ove questo si trovi.

Dunque, ingiunzioni del genere potrebbero essere considerate emesse in carenza di potere.

Il secondo aspetto che ha suscitato l’insorgere di non poche perplessità riguarda gli aspetti sanzionatori di cui l’ordinanza minaccia l’applicazione.

Infatti, i provvedimenti analizzati si concludono con l’indicazione che la mancata ottemperanza all’ordine di riportare il bene in Italia potrebbe comportare l’applicazione di tutta una serie di sanzioni penali ed amministrative e, segnatamente, di quelle previste dal codice dei beni culturali agli articoli 163 (perdita di beni culturali), 165 (violazioni di disposizioni in materia di circolazione internazionale), 174 (uscita o esportazione illecita) e 180 (inosservanza dei provvedimenti amministrativi).

La prima notazione che mi sento di avanzare è legata al metodo: al di là di ogni considerazione in merito alla esistenza di un tale potere, non mi pare che si possa considerare esempio di corretta gestione amministrativa la redazione di un provvedimento che indica la possibile applicazione di tutta una serie di conseguenze sanzionatorie, talune addirittura alternative rispetto alle altre, senza fornire all’interessato alcuna certezza in merito.

Mi sembra, infatti, un comportamento meramente intimidatorio, mosso più a sollecitare lo spontaneo adempimento per paura delle possibili conseguenze che a conferire al destinatario dell’ingiunzione una corretta informazione sui rischi del suo inadempimento, anche perché le sanzioni minacciate risultano essere particolarmente severe, arrivando, oltre all’applicazione di pene detentive, anche alla confisca del bene o al pagamento del suo valore pecuniario.

Va da sé che un simile atteggiamento non appare conforme ai principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità, essendo più in linea con un intento meramente repressivo, che esula senza dubbio dal nostro ordinamento, anche se, purtroppo, non sempre dal concreto agire dell'amministrazione: compito di quest'ultima è quello di fornire all’utenza una piattaforma di certezza giuridica sulla cui base potersi regolare, non certo quella di ingenerare dubbi o timori che, come a breve si vedrà, corrono il rischio di risultare per lo più ingiustificati.

Infatti, ritengo che gli articoli di legge citati abbiano ben poco a che vedere con il caso in questione, dal momento che, se è vero che l’annullamento dell’attestato di libera circolazione ha un effetto retroattivo (ciò vuol dire che l’atto annullato deve essere considerato come mai emesso) e che, in sua conseguenza, la permanenza dell’opera d’arte all’estero deve considerarsi illegittima (quantomeno sulla base del diritto italiano ed europeo), non può non considerarsi che l’esportazione è avvenuta prima dell’annullamento, quando l’attestato era comunque stato emesso ed era vigente.

Le conseguenze dell’apparenza del diritto e la tutela del legittimo affidamento riposto dal proprietario sulla validità dell’attestato di libera esportazione rischiano di essere troppo complesse e ci porterebbero troppo distanti dall’obbiettivo del presente contributo; è sufficiente dire che se l’esportazione è avvenuta prima dell’annullamento dell’attestato di libera circolazione, ben difficilmente potrà essere riscontrato l’elemento soggettivo di responsabilità (sia essa a titolo di colpa o dolo) che è la base per l’applicazione di una sanzione penale o amministrativa.

Conseguentemente, ritengo che possa radicalmente escludersi l’applicazione dell’articolo 174 D.Lgs. 42/2004 che sanziona penalmente chiunque esporti opere d’arte senza attestato di libera circolazione.

Anche le due sanzioni amministrative previste dall’articolo 163 e dall’articolo 165 non risultano applicabili al caso di specie.

Infatti, l’articolo 163 (“Se, per effetto della violazione degli obblighi stabiliti dalle disposizioni della sezione I del Capo IV e della sezione I del Capo V del Titolo I della Parte seconda, il bene culturale non sia più rintracciabile o risulti uscito dal territorio nazionale, il trasgressore è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore del bene”) non è applicabile in quanto il bene non è uscito dal territorio nazionale in violazione della normativa, dal momento che quando l’uscita si è verificata l’attestato di libera circolazione esisteva: semplicemente, esso, in conseguenza del successivo annullamento del permesso di esportazione, si trova all’estero in modo illecito, che è cosa ben diversa. Peraltro, per quanto sopra già esposto, la permanenza illegittima all’estero parrebbe esser più conseguenza dell’inerzia dell’amministrazione che non dell’azione del proprietario e, pertanto, non si comprende il motivo per cui dovrebbe essere quest’ultimo a vedersi sanzionato.

Lo stesso può dirsi con riferimento all’articolo 165, secondo cui “Fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dall'articolo 174, comma 1, chiunque trasferisce all'estero le cose o i beni indicati nell'articolo 10, in violazione delle disposizioni di cui alle sezioni I e II del Capo V del Titolo I della Parte seconda, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 77,50 a euro 465”, dal momento che l’atto del trasferimento non risulta essere stato commesso in violazione della normativa.

L’unica norma che potrebbe trovare applicazione sarebbe, quindi, l’articolo 180, secondo cui “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque non ottempera ad un ordine impartito dall'autorità preposta alla tutela dei beni culturali in conformità del presente Titolo è punito con le pene previste dall'articolo 650 del codice penale.” (ovvero l’arresto fino a tre mesi o ammenda fino ad € 206).

Tuttavia, l’applicazione di tale norma presuppone che il provvedimento amministrativo sia da considerarsi legittimo ed il giudice penale potrà disapplicarlo laddove non ne rinvenga i presupposti di legittimità.

Ad ogni buon conto, è opportuno provvedere alla sua impugnazione anche in sede amministrativa.

In conclusione, ritengo che siffatte ordinanze si collochino ai margini del nostro ordinamento, con non poche riserve in ordine alla loro legittimità che evidenziano una tendenza, purtroppo sempre più evidente, verso lo svilimento della buona tecnica giuridica, asservita al tentativo di conseguire i risultati concreti che l’amministrazione si pone, indipendentemente dai poteri che la legge le riconosce.



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